Questo romanzo è come un diamante: cristallino nella sua scrittura e sfaccettato nel trattamento che l’autrice fa della protagonista.
Tutto ha inizio con una donna, Yeong-hye, che una notte ha un incubo cruento. La mattina dopo, sotto lo sguardo agghiacciato del marito, getta via tutta la carne che ha in congelatore facendo voto di non mangiarne più. Da questa premessa, l’autrice Han Kang prende le mosse per esplorare temi come l’anoressia, ma soprattutto la violenza emozionale verso le donne e quella che sembrerebbe una tendenza patriarcale nella cultura coreana.
L’autrice ha deciso di dividere la vicenda di Yeong-hye in tre parti e narrare ciascuna attraverso un punto di vista diverso – rispettivamente quello del marito, del cognato e della sorella In-hye – invece che attraverso gli occhi del protagonista. Sebbene all’inizio della lettura questo si presti a un effetto straniante, si rivela nel suo complesso una scelta molto azzeccata in quanto fa emergere con più forza l’alienazione della protagonista. All’inizio, Yeong-hye può essere percepita come passiva e arrendevole; giunti alla fine del romanzo ci si chiede se quella alienazione, e quel desiderio di autodistruzione, non fossero in realtà le sue arme di difesa e insieme attacco contro delle convenzioni sociali che richiedono continui sacrifici emotivi e cieca sottomissione.
Gli uomini ne “La vegetariana” sono disgustosi. La mancanza di empatia del marito di lei e il cognato che, dietro la maschera di artista sensibile, non esita a usarla per i suoi scopi sono scandalosi; tanto che, come lettore, ti verrebbe da dire alla protagonista “ehi, lascialo subito, non vedi che non ti ama?”, “non vedi che ti sta usando?”
E le donne? Le donne, purtroppo, in questo romanzo non si uniscono in un fronte compatto né si aiutano, tanto da farci chiedere come lettori se questo non sia un crimine peggiore dei maltrattamenti psicologici subiti da Yeong-hye.
Quello di Han Kang è un ritratto fosco di una società tradizionale soffocante; l’autrice non usa mai toni di protesta diretta, né fa discorsi moralizzanti per indurre il lettore allo scandalo o all’azione – cosa che di solito, anzi, apre la porta alla noia nella lettura-. Han Kang si limita a ritrarre uno spaccato di realtà nel modo più fedele e crudo che può.
Ed è proprio questo tono, forse, che induce alla riflessione più di qualsiasi altro elemento del suo romanzo.