Pet sematary

Lou Creed, medico generalista, trova un nuovo lavoro e si trasferisce nel Maine insieme alla sua famiglia. Il nuovo ambiente sembra un’isola felice, non fosse per un inquietante cimitero degli animali racchiuso nella foresta dietro casa sua e, più in là, una misteriosa area rocciosa dove gli indiani seppellivano i loro morti.

Il romanzo si apre con apparente lentezza esplorando la vita del protagonista come medico e padre di famiglia; piano piano, però, l’impossibile inizia a manifestarsi con sempre più insistenza. Tra allucinazioni, dubbi, avvenimenti fuori dall’ordinario, Lou si troverà ad affrontare sempre più da vicino il fatto che il cimitero indiano nasconda un segreto che tocca la paura più grande di tutti gli esseri umani: la morte. Parte dell’efficacia del romanzo si basa su un gioco di paradossi: da medico, Lou sa più di chiunque altro quanto la morte sia irreversibile, eppure dovrà confrontarsi con l’evidenza dei fatti.

Dall’inizio della lettura, pagina dopo pagina, aleggia sempre un senso di minaccia anche nei punti in cui, in teoria, nulla di spaventoso sta accadendo; da metà romanzo in poi, il ritmo narrativo accelera sempre di più verso un finale agghiacciante.

Il colpo da maestro di King, a mio parere, sta non tanto in qualche scena macabra o nella suspense. Sta nelle scelte sempre più disperate del personaggio, le quali creano nel lettore angoscia e pietà. Leggendo, ci si trova più volte a chiedersi “potrà mai fare qualcosa di più autodistruttivo di ciò che sta già facendo?”

Fidatevi, può.

E voi non potrete fare niente per impedirglielo.

Sebbene Pet sematary sia uno di quei romanzi che non devono mancare nella libreria di un appassionato di horror, personalmente lo consiglierei a tutti. Come una sinfonia sommessa, infatti, King ha saputo infondere nella trama riflessioni profonde non solo sul mistero della morte ma anche sull’elaborazione del lutto e sul senso del limite, elevando il genere e dandogli un ulteriore livello di profondità.


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