Ben strutturato, scorrevole, intrigante, forte e filosofico. L’esorcista è tutte queste cose insieme.
Partiamo dalla trama, solo ingannevolmente semplice: di punto in bianco, una bambina non sembra più agire come avrebbe fatto in circostanze normali al punto da far sospettare di un caso psichiatrico…o forse peggio. Oltre a questa situazione iniziale si aggiungono altri due problemi: un gesuita in piena crisi di fede e un detective che indaga sulla morte molto particolare di un amico di famiglia di Chris, la madre della bambina malata.
In questa lettura, divorata in un giorno solo, non ho trovato punti deboli. La trama è intrecciata in un modo che non consente mai alla narrazione di rallentare, c’è un crescendo si suspense dall’inizio alla fine, le scene cruente/propriamente horror sono raccontate in modo impeccabile.
Quello che mi ha colpita di più, però, non è l’elevatissimo livello tecnico del romanzo; è stata la capacità dello scrittore di innestare nella storia un discorso filosofico sul bene e il male senza appesantire affatto la narrazione. Il male ha uno scopo? Se sì, quale? Serve a mettere in risalto il bene o è una favoletta che ci raccontiamo per consolarci? Il male può essere uno strumento per il bene? Il male è insito nell’uomo o è una scelta? Queste alcune delle domande cui il testo cerca di dare una risposta.
I personaggi sono ben caratterizzati e credibili nel loro ruolo. Mi viene in mente Chris, una madre disperata dall’incapacità di curare la figlia, ma soprattutto padre Karras. Il personaggio più riuscito è il contraddittorio padre Karras, uomo di fede ritratto proprio nel bel mezzo della sua crisi di fede. Karras ha i suoi demoni interiori nella forma di sensi di colpa nei confronti sua madre; dentro di lui, da tempo le ragioni della scienza e della psicanalisi hanno preso il posto di quelle della fede. Una delle cose più interessanti del romanzo è vedere il cambiamento di padre Karras a partire da queste premesse.
Geniale, poi, la sottotrama che tratta le ricerche del detective Kinderman: aggiunge complessità alla storia, manda avanti l’azione e in certi casi il carattere cerimonioso del detective – al limite del ridicolo – strappa un sorriso. E infine veniamo a lui, il diavolo: difficile da smascherare perché aggrappato a cavilli e sofismi, il suo compito principale è insinuare dubbi nel lettore e anche in padre Karras. Il bello è che ci riesce. Tutto quello che succede alla bambina è perfettamente spiegabile – ancorché raro – in gravi casi psichiatrici. Non riesco neanche a immaginare la vastità delle ricerche che Peter Blatty deve aver compiuto per caratterizzare un personaggio in modo che risultasse così credibile.
Di certo vi ho dato diversi argomenti per invogliarvi a cimentarvi in quello che ho trovato uno dei romanzi più interessanti letti quest’anno. Non mi resta che augurarvi buona lettura!